
CANTO
SECONDO
Il secondo canto del Purgatorio comincia con una descrizione dell’alba: Dante unisce precisi elementi astronomici, dati espressivi, metaforici e mitologici e riferimenti zodiacali tipici della cultura medievale. Il poeta e Virgilio, ancora fermi sulla spiaggia ai piedi del Purgatorio, vedono venire verso di loro un punto luminoso che inizialmente sembra piccolo e confuso come Marte visto dalla terra nella foschia del mattino; man mano che quella luce si avvicina e diviene più grande, il poeta riesce a distinguere tre macchie bianche ai due lati e sotto di essa. Subito dopo Dante comprende che si tratta di ali: appartengono all’angelo nocchiero che guida e sospinge l’imbarcazione con la sua forza miracolosa, tale da non richiedere strumenti umani come vele o remi. Anche la nave mostra i segni di navigazione soprannaturale perché tocca a malapena l’acqua. Virgilio invita il suo protetto ad inginocchiarsi e a congiungere le mani in segno di rispetto. L’angelo sta traghettando le anime destinate alla salvezza, che si raccolgono sempre presso la foce del Tevere, fino alla spiaggia del Purgatorio. La luce emanata dal viso dell’angelo diventa sempre più forte, fino a quando Dante è costretto a distogliere lo sguardo. Le anime sulla barca intonano, il Salmo 113 In exitu Istrael de Aegypto, che tratta della liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana: così le anime esprimono in modo allegorico la gratitudine per essere finalmentelibere dalle catene del corpo mortale. L’angelo, una volta accostata l’imbarcazione alla spiaggia, benedice le anime e il loro percorso facendo il segno della croce; poi, senza dire una parola, le lascia scendere e riparte alla volta della foce del Tevere. Le anime si trovano così sperse, a osservare quel luogo che vedono per la prima volta e in cui non sanno come muoversi. Chiedono quindi indicazioni a Dante e Virgilio, pensando che si trovino lì da più tempo; il poeta latino le informa però che anche loro sono giunti da poco e che non conoscono affatto quel luogo. Intanto le anime si accorgono che Dante respira e che dunque è ancora in possesso del suo corpo mortale; piene di meraviglia gli si accalcano intorno fissandolo, proprio come accade con i messaggeri che portano novità. Una delle anime si avvicina maggiormente a Dante, facendo per abbracciarlo con atteggiamento tanto affettuoso, che Dante è pronto a ricambiare. Stupito, non riesce stringere l’anima:è infatti inconsistente e priva di realtà corporea. L’ombra allora gli suggerisce di abbandonare ogni tentativo e, al suono della sua voce, Dante lo riconosce. Si tratta di Casella, musico fiorentino e suo personale amico, morto qualche mese prima. Dante chiede come mai sia appena arrivato alla spiaggia del Purgatorio nonostante sia passato un po’ di tempo; Casella gli risponde che l’angelo, che decide secondo l’inconoscibile volontà divina chi può salire sulla sua barca, fino ad allora non lo aveva accolto, lasciandolo ad aspettare. Da tre mesi comunque - ossia da quando Bonifacio VIII (1230ca. - 1303) aveva promulgato il Giubileo e la possibilità di ottenere indulgenze - l’angelo ha concesso a chiunque lo volesse di salire senza opporsi. Dante, ancora turbato da ciò che ha visto nell’Inferno, chiede a Casella di intonare per lui un ultimo canto, come quando era vivo. Il musico sceglie una canzone dello stesso Dante, tratta dal Convivio, ovvero Amor che ne la mente mi ragiona. Tutte le anime, compresi Dante e Virgilio, si fermano ad ascoltarlo, ma vengono interrotti da Catone, il custode del Purgatorio, che disperde le anime, ricordando loro il lungo cammino di espiazione che le attende. Il rimprovero sembra rivolto anche ai due poeti che quindi, come gli altri, si affrettano e si allontanano.